Il calvario di una contribuente ingiustamente
vessata dal Fisco l'ennesimo
incredibile caso che vede coinvolta l’Agenzia delle Entrate
Il totale disinteresse dei
funzionari dell'erario di fronte all'evidenza delle ragioni dei cittadini,
l'accanimento ai limiti della persecuzione, gli ostacoli – spesso
insormontabili – a cui va incontro chi chiede giustizia: un nuovo capitolo del
travagliato rapporto tra italiani e Fisco.
Milano, 8 maggio 2012
Il racconto
che segue è l'emblema di un contesto
diventato intollerabile e a cui nessuno, tuttavia, pare intenzionato a
porre rimedio. Questa storia deve essere raccontata. Deve essere ascoltata. Qui
non c’è il dramma di debiti accumulati a cui non si sa come far fronte. Qui c’è
la tragedia di una cittadina che nulla deve, perseguitata ingiustamente,
privata della possibilità di spiegare la verità, condannata senza entrare nel
merito di quanto contestato, defraudata dei più basilari diritti civili,
stritolata da un sistema iniquo.
I fatti in breve
Mi chiamo Agata Caterina Menza. Vorrei raccontare
la mia incredibile storia.
L’Agenzia delle entrate mi contesta un ipotetico
reddito non dichiarato dopo aver controllato una serie di movimenti sul mio
conto corrente, risalenti al 2004. Le modalità di notifica dell’accertamento
sono molto discutibili, io non ho mai ricevuto alcuna comunicazione scritta. Nonostante
questo, io fornisco tutte le spiegazioni e la documentazione atte a provare che
non si trattava di reddito non dichiarato ma di denaro proveniente da mio marito
per pagare le diverse spese relative all’immobile a me intestato e destinato a nostro
figlio, allora minorenne. I funzionari dell’Agenzia delle Entrate mi danno
indicazioni ambigue sul da farsi per opporsi. Io seguo comunque le istruzioni,
faccio istanza in autotutela, tuttavia la pratica prosegue il suo iter, mi
arriva la cartella esattoriale, mi si dice che non è più possibile opporsi,
viene respinto il ricorso. Ora la cartella ammonta a oltre cinquecentomila
euro. Che io dovrei dare allo Stato, e nessuno sa perché.
La storia
L’Agenzia delle entrate mi chiama al telefono ad
aprile del 2010. Avevano il mio numero perché mi avevano già fatto un
accertamento per sapere come mai avevo una casa di proprietà che non
corrispondeva alla mia posizione reddituale. Quell’avviso si era poi risolto in
nulla, avendo dimostrato che la casa era stata acquistata da mio marito e a me
intestata. Ma da quella telefonata, e in seguito alla visita fatta ai
funzionari, apprendo che mi era stato notificato a dicembre del 2009 un altro accertamento per delle somme
in entrata e in uscita dal mio conto, per un totale di 300.000,00 Euro.
L’Agenzia ritiene che tali somme siano relative ad un reddito non dichiarato.
Io non ho mai ricevuto la raccomandata con l’avviso
di accertamento.
Mi viene detto che i termini per opporsi sono
scaduti e i due funzionari mi consigliano di presentare velocemente tutti i
documenti perché loro possano sottoporli a chi ha emesso l’avviso di
accertamento. Da allora e fino all’inizio di luglio del 2010, vedo più volte i
funzionari, anche in presenza del mio commercialista, consegnando loro tutti i
documenti richiesti e presentando, come loro mi suggeriscono di fare, varie
istanze in autotutela.
Spiego loro che i soldi in entrata sono del mio ex
marito, che li versava sul mio conto affinché io pagassi le diverse spese
legate alla casa da lui acquistata e destinata a nostro figlio. Dimostro che io
utilizzavo TUTTO il denaro in transito sul mio conto e proveniente dal mio ex
marito per il pagamento di vari fornitori legati alla casa (notaio, agenzia
immobiliare, impresa di ristrutturazioni, arredi, ecc..). Tutti questi movimenti riguardano SOLO il periodo
compreso tra marzo 2004 e dicembre 2004. Il rogito della casa è stato fatto a
febbraio del 2004 e siamo entrati, dopo la fine dei lavori, a novembre 2004.
A dimostrazione di quanto sopra io produco ai
funzionari dell’Agenzia delle entrate tutte le fatture, le copie degli assegni,
persino le matrici degli assegni circolari (che potevo avere solo perché era
mio marito ad averli emessi!). La sola cosa che manca è una dichiarazione che
gli assegni circolari (che non portano alcuna firma di traenza) siano
effettivamente di mio marito. Lui non è disposto a rilasciare alcuna
dichiarazione, la sua banca è vincolata dal segreto bancario. Dimostro però
che:
- tutti gli assegni sono in sequenza numerica e
hanno lo stesso ABI e CAB;
- l’ABI e il CAB sono gli stessi della banca del
mio ex marito.
Che fosse la banca del mio ex marito era chiaro
anche dalla copia degli assegni circolari con cui lui ha pagato la casa,
allegati all’atto da lui presentato nel ricorso per separazione nei miei
confronti. Quindi era lui stesso a dichiarare che quella serie di assegni erano
stati emessi da lui. Non solo, ma questo particolare era già stato acquisito
all’Agenzia in occasione dell’accertamento fattomi per verificare come avessi
potuto acquistare la casa dove vivo: in quell’occasione l’Agenzia aveva
ritenuto soddisfacenti tali prove per dimostrare che la casa non l’avevo pagata
io con redditi non dichiarati ma mio marito.
Alla fine di
luglio del 2010 i funzionari dell’Agenzia mi comunicano che, malgrado secondo
loro la pratica sia ben corredata di tutta una serie di documenti da cui è
impossibile non dedurre la totale assenza di evasione da parte mia, il loro
responsabile (colei che ha emesso l’avviso di accertamento) non accetterà di
fermare le azioni in corso. Mi fanno intendere, in modo molto chiaro, che
essendoci un bene da aggredire (la casa, appunto) difficilmente l’Agenzia si
fermerà… Mi fanno altresì intendere (sempre in presenza del mio commercialista)
che l’unica speranza per me è che effettivamente la notifica non si sia
formalizzata in modo corretto…
A quel punto mi arriva la cartella esattoriale e,
attraverso uno studio legale, mi oppongo a quella, spiegando tutta la vicenda.
Il giudice che emette la sentenza alla prima
udienza, nel dicembre del 2011, respinge il ricorso, ritenendo corretto il
procedimento di notifica, tardiva la sua impugnazione e dunque inammissibile
l’impugnazione della Cartella, senza entrare nel merito delle difese.
La beffa è che all’Agenzia delle Entrate mi avevano
detto che la sola cosa che avrei potuto fare era presentare istanza in
autotutela, come infatti ho fatto.
Né il
giudice, né la stessa Agenzia delle Entrate, sono entrate nel merito della
contesa, nessuno ha riguardato la pratica, nessuno si è preso la briga di
esaminare tutta la documentazione da me fornita, nessuno ha sentenziato,
motivandola, la mia presunta evasione fiscale, nessuno ha provato che i
movimenti sul mio conto corrente fossero effettivamente relativi a redditi non
dichiarati.
Il debito attuale ammonta a 510.000,00 Euro, io non
ho alcuna possibilità di pagarlo. L’unico bene di cui dispongo è appunto la
casa, dove vivo con mio figlio, studente universitario di ventun anni, che da
anni mantengo da sola, con il mio solo reddito da lavoratrice dipendente. Il
mio futuro e quello di mio figlio sono a questo punto gravemente compromessi da
questa ingiustizia, alla quale non so come reagire, se non cercando di
raccontare la verità.